giovedì 28 aprile 2016

ELETTROMAGNETISMO

Magnetismo

Una calamita o magnete è un corpo che genera un campo magnetico.
In un calamita si possono distinguere due zone dove l’azione magnetica è particolarmente intensa, detti poli nord e sud.  Tra due calamite si creano forze reciproche ; il polo sud della prima calamita è attratto dal polo nord della seconda calamita e viceversa, mentre ci sono forze di repulsione per gli stessi poli.

Il nostro pianeta Terra stesso è grande magnete.






Inoltre le calamite possono magnetizzare anche altre sostanze disposte all’interno del loro campo magnetico come il ferro e l’acciaio, che vengono attratte, questi elementi possono diventare magneti temporanei o permanenti.
Elettrocalamita
Un filo percorso da corrente elettrica genera attorno a se un campo elettromagnetico. Per generare un forte campo magnetico si ricorre a fili di rame avvolti per formare bobine con all’interno del ferro.
Infatti l'ago della  bussola viene deviato dal nord se si trova presso un filo conduttore.


Induzione elettromagnetica
Un magnete che si muove vicino ad un filo conduttore induce corrente elettrica nel filo.
La corrente alternata
Nelle pile la corrente prodotta è di tipo continuo perché scorre sempre nello stesso verso; invece la rete elettrica che giunge nelle nostre case porta corrente alternata, perché il suo verso si inverte ciclicamente nel tempo (50 Hertz) , cioè 50 volte in un secondo.
Si usa la corrente alternata per due motivi :
1.          È più facile da produrre tramite l’Alternatore
2.          È più facile da trasformare il suo valore di tensione tramite il Trasformatore

Trasformatore
Il trasformatore è una macchina sena parti in movimento  che ha la funzione di trasformare una tensione alternata bassa in alta, o viceversa.
E’ formato da un nucleo di ferro dolce si cui sono realizzati due avvolgimenti. Il primo avvolgimento, collegato al generatore, induce un campo magnetico, che a sua volte fa nascere una tensione nel secondo avvolgimento.

Vale la seguente regola :

V2/V1= N2/N1=I1/I2   

La potenza resta costante dato che è il prodotto tra intensità e tensione.


Alternatore
Macchina che trasforma l'energia meccanica in energia elettrica

Una Spira di  materiale conduttore ruota tra i poli di un magnete, quindi il campo nella spira varia continuamente. Alla sua estremità si manifesta una tensione elettrica.

Normalmente non esiste una semplice spira ma l'avvolgimento è composto da molte spire con un nucleo di acciaio, mentre l'elemento che genera il campo magnetico è quasi sempre un elettromagnete, alimentato con corrente continua



L'immagine sottostante rappresenta le variazioni di tensione nella rete elettrica dalle generazione al uso presso le abitazioni o presso le industrie, negli elettrodotti la tensione viene innalzata per ridurre le dispersioni di energia ne lunghi percorsi.

domenica 10 aprile 2016

CIRCUITI ELETTRICI

I circuiti elettrici
Un circuito elettrico è un percorso chiuso in cui circola una corrente elettrica causata dalla differenza di potenziale esistente tra gli estremi del circuito stesso. Le parti principali di un circuito elettrico elementare sono:
  • Un generatore di corrente (es. pila)
  • Un utilizzatore (es. lampadina)
  • Un filo conduttore che unisce i due poli a differente potenziale
  • Un interruttore che serve ad aprire e chiudere il circuito interrompendo il passaggio della corrente






I simboli degli elementi di un circuito
Circuito aperto e circuito chiuso

L’interruttore è una lamina metallica mobile che ha la funzione di mettere in contatto i due capi del filo conduttore. Quando l’interruttore è abbassato mette in contatto i capi del filo e la corrente può circolare: si dice che ilcircuito è chiuso. Se l’interruttore è sollevato e quindi non collega le due estremità libere del filo conduttore la corrente non circola perché il circuito èaperto.
Indicazioni pratiche sull’uso delle lampadine nei circuiti
In qualsiasi circuito bisogna prestare attenzione ad usare la lampadina “giusta”in base al voltaggio del generatore. In ogni lampadina è indicato il valore inampere della corrente che attraversa il filamento quando alla lampadina è applicata la tensione “giusta” stampata sullo zoccolo.
L’indicazione << 6 V- 0,3 A >> sta a indicare che in una  lampadina passa una corrente di 0,3 A quando essa è collegata a una batteria di 6V; aumentando i volt passano più ampere (Prima legge di Ohm), la lampadina brilla di più, ma il filamento rischia di bruciare; diminuendo i volt passano meno ampere e la lampadina si illumina di meno o non si accende affatto: essa, però, non corre alcun pericolo.
Con una batteria da 4,5 V andrà benissimo una lampadina di 4,5 V o leggermente superiore; non andrà bene una lampadina di 2,5 V (si brucerà prestissimo) e non sarà adeguata, neanche, una da 12 V o più, perché la tensione della batteria non avrà la forza sufficiente per accenderla regolarmente.

I COLLEGAMENTI NEI CIRCUITI
Spesso capita di dover inserire nello stesso circuito elettrico più utilizzatori (es. lampadine) o più generatori (es. pile).
Sia gli utilizzatori che i generatori possono essere collegati in due modi diversi: in serie o in parallelo.
                                     
                          lampadine                            
                
         in serie                        in parallelo
   pile
 in serie                    in parallelo
   Collegamento di utilizzatori in serie            
Più utilizzatori sono collegati in serie quando sono montati uno dopo l’altro in modo che lastessa corrente li attraversi in successione. In tal modo il funzionamento di ognuno di essi dipende da quello che lo precede: ad esempio, in una fila di lampadine collegate in serie se una di esse è fulminata tutte le altre rimangono spente (un classico esempio di utilizzatori in serie è dato dal collegamento delle lampadine nell’albero di Natale).


Ltensione giusta per accendere le lampadine in serie è uguale alla somma delle tensioni di accensione delle singole lampadine:
 per tre lampadine da 1,5 volt collegate in serie va bene una batteria da 4,5 volt
 Una tensione minore ( 1,5 V ) fa accendere poco o niente le lampadine, mentre una tensione maggiore ( 9 V ) è eccessiva e può farle bruciare.
In questo tipo di collegamento le lampadine possono essere di tensioni diverse, ma devono assorbire tutte la stessa corrente.
  
Collegamento di utilizzatori in parallelo
Più utilizzatori ( es. lampadine ) sono collegati in parallelo se hanno gli estremi in comune cioè l’entrata e l’uscita della corrente.

In questo caso, gli utilizzatori sono collegati al generatore in modo da non dipendere l’uno dall’altro e, perciò, il mancato funzionamento di uno di essi non pregiudica quello degli altri: se una lampadina si fulmina, le altre continuano a funzionare.

In questo tipo di collegamento le varie lampadine  devono avere tutte un tensione di accensione uguale a quella della batteria di alimentazione. Ogni lampadina, però, può assorbire una corrente diversa: la batteria fornirà una corrente totale uguale alla somma delle  correnti assorbite dalle singole lampadine
 Collegamento di generatori in serie
Più pile sono collegate in serie quando il polo positivo di una pila è collegato al polo negativo dell’altra, e cosi di seguito, in modo da formare la cosiddetta batteria di pile.

La tensione di una batteria di pile è data dalla somma dellesingole tensioni: collegando in serie n pile uguali, ciascuna delle quali fornisce la tensione V, si ottiene una batteria la cui tensione totale è uguale an*V
L’intensità di corrente, in questo tipo di collegamento, èuguale a quella che potrebbe fornire una singola pila.
 Questo tipo di collegamento viene usato quando si vuole una tensione maggiore di un singola pila, che, in genere, è molto bassa ( 1.5 V ).

Collegamento di generatori in parallelo
Questo tipo di collegamento si ottiene unendo fra loro, rispettivamentetutti i poli negativi e tutti i poli positivi delle singole pile.
Il collegamento è praticamente possibile solo con pile uguali. La tensione ai capi della batteria di pile è uguale a quella di una singola pila, mentre la corrente che essa può fornire aumenta.
Se le pile sono in numero di n, la corrente disponibile è n volte maggiore, sicché è possibile alimentare un utilizzatore che richieda una tale corrente; se, invece, l'utilizzatore richiede una corrente uguale a quella fornita da una singola pila, si avrà una durata delle pile n volte maggiore.
IL  CORTO CIRCUITO
Nel circuito (di fig .a)  il filo A ha una resistenza elettrica bassissima, ed è collegato in parallelo al trattato di circuito B che ha una resistenza elettrica molto maggiore perché in esso è inserita una lampadina.
Quando si chiude l'interruttore 1,  nel tratto A non passa corrente; nel tratto B la corrente circola e la lampadina si accende.
Se si chiude anche l'interruttore 2, la lampadina si spegne: perché? Perché la corrente passa tutta nel tratto A, dove non incontra resistenza, mentre non passa nel tratto B dove incontra resistenza.
Questo fenomeno si chiama corto circuito.


Se il circuito resta "in corto" per diverso tempo, il generatore si surriscalda; se si tratta di una pila, essa può esplodere versando al suo esterno pericolosi acidi.
Un corto circuito indesiderato si verifica quando, per cause accidentali, due punti di un circuito tra i quali esiste una certa tensione, vengono a trovarsi collegati da un tratto di conduttore con resistenza molto bassa.    
Quando due fili scoperti si toccano, la corrente elettrica passa attraverso la zona di contatto tra i fili, che ha unaresistenza bassissima. La corrente diviene perciò elevatissima e i fili bruciano (rischio di incendio).
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TRIVELLE : 10 DOMANDE

Trivelle: 10 risposte sul referendum
8 APRILE 2016 
Per cosa si vota, quali sono le ragioni del sì e quelle del no, i rischi per l’ambiente e le piattaforme coinvolte. Un vademecum per avvicinarsi al referendum


Tutto quello che serve sapere sul referendum del prossimo 17 aprile, in dieci punti.
1. Cosa chiede il referendum?
Il quesito del referendum è il seguente: “Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, Norme in materia ambientale, come sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 ‘Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilita’ 2016)‘, limitatamente alle seguenti parole: ‘per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e disalvaguardia ambientale‘?”. In sostanza il prossimo 17 aprile gli italiani saranno chiamati a decidere se permettere i meno ai titolari delle concessioni lo sfruttamento dei giacimenti già presenti all’interno del confine delle 12 miglia dalla costa (nuove concessioni sono infatti già vietate) fino all’esaurimento degli idrocarburi. Questa possibilità è stata introdotta dal Governo nella legge di stabilità 2016, modificando le norme precedenti che prevedevano una durata fissa per le concessioni: 30 anni, prorogabili per altri dieci previa verifica dell’impatto ambientale della piattaforma. Con la vittoria del sì, le piattaforme che sorgono entro 12 miglia dalla costa verrano quindi chiuse allo scadere delle concessioni (e di eventuali proroghe), mentre se il referendum risultasse nullo potranno continuare a estrarre gas e petrolio fino all’esaurimento del giacimento.
2. Perché il limite di 12 miglia dalla costa?
Si tratta di una convenzione introdotta nel 2010 dal “Decreto Prestigiacomo”, approvato subito dopo l’incidente nel Golfo del Messico della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon per la salvaguardia delle coste e la tutela ambientale. Il limite corrisponde al confine delle acque territoriali, la porzione di mare adiacente alla costa su cui uno Stato esercita la propria sovranità territorialesecondo la Convenzione di Montego Bay. I vincoli del 2010 sono poi stati modificati più volte, fino all’ultima versione del governo Monti, che ha ulteriormente ristretto le aree in cui si possono sfruttare i giacimenti, vietando nuove attività di ricerca e estrazione di idrocarburi all’interno delle 12 miglia marine dalla costa in tutte le acque territoriali italiane.
3. Quali sono gli schieramenti?
Per il Sì.
 A favore del sì troviamo innanzitutto il coordinamento nazionale No Triv, composto da associazioni, comitati e circoli di partito. Accanto a loro ovviamente le nove Regioni che hanno voluto il referendum (BasilicataCalabriaCampaniaLiguriaMarche, Molise,PugliaSardegna e Veneto), e le principali associazioni ambientaliste italiane, come WwfGreenpeaceLipu e Marevivo. Sul versante politico invece la situazione è più sfumata. A spendersi per il sì troviamo i 5 StelleSelAlternativa libera, la Lega di Salvini (con lui è schierato il governatore del Veneto Zaia, alla guida di una delle regioni promotrici), e Forza Italia (che con Giovanni Toti guida un’altra delle regioni promotrici, la Liguria). Nel Pd invece si è verificata una spaccatura. Da un lato Matteo Renzi in qualità di segretario del PD che ha invitato i cittadini all’astensione. Dall’altra nomi importanti come l’ex segretario Bersani, contrari alla linea dell’astensione, e diversi deputati come Roberto Speranza, o il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano, schierati apertamente per il sì. Anche a livello sindacale c’è una diversità di opinioni tra organi nazionali, che premono per il sì, e sedi locali più spesso indirizzate al no.
Per il No. Per il no è schierato – oltre al governo Renzi che punta sull’astensione per rendere nulla la consultazione – il comitatoOttimisti e Razionali, composto da professionisti di vari ambiti, e personalità della politica, delle associazioni e del mondo dell’energia, e guidato dall’ex deputato PDS Gianfranco Borghini. Anche l’associazione ambientalista Amici della Terra si è pronunciata contro il referendum, dichiarandolo inutile.Per il no anche i sindacati, che conFelctem CgilFemca Cisl e Uiltec Uil si dicono preoccupati dalle possibili ricadute occupazionali di una vittoria del sì.
4. Quali sono le ragioni dei due schieramenti?
Le ragioni del sì.
 Per i promotori del referendum, bloccare il rinnovo delle concessioni ha innanzitutto un’importante ragione ambientale. Gli incidenti negli impianti sono sempre possibili, e le conseguenze, pur non paragonabili (per questioni tecniche) a quelle di catastrofi famose come quella della Deepwater Horizon nel Golfo del Messico, sarebbero comunque gravissime. Preoccupano inoltre l’inquinamento(secondo uno studio diffuso da Greenpeace le piattaformesupererebbero spesso i livelli di inquinanti consentiti), e i possibilidanni al turismo nelle regioni coinvolte. Un altro fattore di contrarietà riguarda il concetto di concessione illimitata nel tempo, senza un termine se non quello di esaurimento del giacimento. La ragione principale di chi sostiene l’importanza del voto però è di ordine politico: dare un segnale preciso al governo, indicando la priorità degli investimenti in energie rinnovabili, e la necessità di diminuire losfruttamento delle fonti fossili. Una vittoria del sì al referendum avrebbe dunque un altissimo valore simbolico.
Le ragioni del no. Per i contrari invece si tratta di una questione pragmatica: anche puntando ad aumentare gli investimenti in energie rinnovabili, i combustibili fossili rimarranno una risorsa strategica per decenni a venire. Produrli in casa vuol dire spendere, e inquinare, di meno. La quota di gas e petrolio estratti in queste piattaforme, che attualmente è utilizzata per il consumo interno, in caso di vittoria del sì andrebbe comunque importata dall’estero allo scadere delle concessioni, e non potrebbe essere coperta da fonti rinnovabili. Il risultato sarebbero più navi in transito nelle nostre acque e quindi unmaggiore inquinamento, una maggiore dipendenza da fornitori stranieri e l’utilizzo di idrocarburi provenienti da pozzi di cui non possiamo controllare la sicurezza o l’impatto ambientale. La chiusura delle piattaforme inoltre potrebbe avere pesanti ricadute occupazionali per i territori dove sorgono gli impianti di estrazione e di stoccaggio. Per alcuni, infine, si tratta di una questione politica: lastrategia energetica nazionale è una questione di importanza capitale che non si presta ad essere discussa con lo strumento del referendum.
5. Quante trivelle sono coinvolte? Cosa estraggono? In che percentuale contribuiscono al fabbisogno italiano?
Sul territorio italiano sono presenti, stando a quanto dichiarava ilMinistero dello sviluppo economico a fine 2015135 piattaforme marine. 92 di esse si trovano entro 12 miglia dalla costa, e 48 sono quelle effettivamente eroganti (qui la lista completa); le concessioni relative a tali piattaforme sono in tutto 35. Il quesito referendario si applica, in particolare, a 21 concessioni: la prima di esse scadrà nel 2018, poi via via tutte le altre fino alla scadenza dell’ultima, nel 2034. Se dovesse vincere il sì, la maggior parte dei 48 impianti eroganti entro le 12 miglia chiuderà tra quindici anni circa; tre di essi, invece, smetteranno di estrarre già nei prossimi cinque anni. Le piattaforme entro le 12 miglia, sempre stando ai dati del Ministero dello sviluppo economico, svolgono per lo più attività di estrazione di metano: nel 2015 hanno contribuito al 28,1% della produzione nazionale di gas e al 10% di quella petrolifera, coprendo una quota dei consumi nazionali rispettivamente per il 3% e per l’1%.
6. Di chi sono gli impianti?
A gestire le piattaforme che rischiano di chiudere è soprattutto l’Eni, azionista di maggioranza di 76 impianti sui 92 totali, mentre la francese Edison ne possiede 15 e l’inglese Rockhopper solo una. Come riporta Il Sole 24 Ore, sono 21 le concessioni che potrebbero essere messe in discussione dal risultato del referendum: una in Veneto (Eni), due in Emilia-Romagna (Eni e Po Valley Op.), una nelle Marche (Apennine Energy), tre in Puglia (Eni, Rockhopper e Petroceltic Italia), cinque in Calabria (2 di Shell Italia, Petroceltic Elsa, Eni, Northern Petroleum Uk), due in Basilicata (Apennine Energy e Transunion Petroleum IT) e sette in Sicilia (Audax energy, Northern Pet. Uk, 2 di Eni-Edison Gas, Petroceltic Elsa-Northern Pet. Uk, Eni, Transunion Pet.).
7. A quanto ammontano le royalties?
Tutte le aziende che estraggono idrocarburi in Italia sono soggette al pagamento allo Stato della cosiddetta aliquota di prodotto, o royalty, una quota del greggio o del gas estratto. Tali royalties sono normate dal Decreto Legislativo del 25 novembre 1996 e dalle successive modifiche apportate con la Legge n. 99 del 23 luglio 2009, che contiene le “Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia”. Le aliquote previste dalla legge (e deducibili dalle tasse delle compagnie di estrazione) sono del 10% su petrolio e gas estratti a terra e del 7% e 10%, rispettivamente, su petrolio e gas estratti in mare. Tali somme vengono poi ridistribuite a Stato, regioni e comuni interessati dalle attività di estrazione: nel 2012, per esempio, hanno generato entrate pari a circa 333 milioni di euro, di cui 56 sono finiti nelle casse dello Stato, 170 in quelle delle regioni, 27 in quelle dei comuni e 78 nelFondo per la riduzione del prezzo dei carburanti. Si tratta di aliquote particolarmente basse rispetto al resto d’Europa (in Danimarca e Inghilterra, per esempio, le royalties non esistono, ma il prelievo fiscale per le attività di esplorazione e produzione arriva fino al 77% e all’82%, rispettivamente). La legge prevede inoltre l’applicazione di una franchigia: le prime 20mila tonnellate di petrolio prodotte in terraferma, le prime 50mila tonnellate di petrolio prodotte in mare, i primi 25 milioni di metri cubi standard di gas estratti in terra e i primi 80 milioni di metri cubi standard di gas estratti in mare sono esenti dal pagamento di royalties. Come riporta La Stampa, nel 2015 sono state solo 9 (5 di gas e 4 di petrolio) le concessioni produttive che hanno versato royalties: le altre 17 hanno estratto quantitativi tali da rimanere sotto la franchigia e quindi essere esenti dal pagamento.
8. Quali sono le problematiche ambientali legate al referendum?
La questione ambientale, oltre a quella politica, è uno degli aspetti più discussi del referendum. Al centro del dibattito la tutela dell’ecosistema marino, messo in pericolo non solo da possibiliincidenti e sversamenti in mare di idrocarburi, ma anche dalla normale attività di sfruttamento dei giacimenti. Per quanto riguarda il rischio incidenti, il pericolo che possa verificarsi un evento catastrofico come quello della Deepwater Horizon è piuttosto basso: la maggior parte dei pozzi italiani estrae infatti metano, meno dannoso, e non petrolio, e a profondità molto minori. Secondo un rapporto di Greenpeace “
Trivelle fuorilegge“, la normale attività estrattiva delle piattaforme presenti nei nostri mari produce comunque sostanze inquinanti dannose per l’ecosistema e per la salute umana, come idrocarburi policiclici aromatici e metalli pesanti, che si ritrovano in prossimità delle piattaforme offshore. Alcune sostanze sono oltre i limiti fissati per legge, continua Greenpeace, e potrebbero arrivare fino all’essere umano risalendo la catena alimentare. Un report del Wwf, frutto del progetto Medtrends, sottolinea inoltre come le attività estrattive nel Mediterraneo espongano gli ecostistemi marini a una pressione costante: infrastrutture, trivellazioni, prodotti di scarto e inquinamento acustico colpirebbero infatti moltissimi organismi marini, come i ceatacei, ma anche diverse specie di pesci e molluschi, con il rischio di gravi alterazioni del loro comportamento, dell’alimentazione, delle migrazioni e della riproduzione. Tra i pericoli dell’estrazione di idrocarburi viene citato anche il rischio disubsidenza, ovvero dello sprofondamento dei fondali.
9. Le trivellazioni causano terremoti?
Il rischio sismico collegato alla coltivazione degli idrocarburi è una questione su cui si discute da anni. Secondo un 
rapporto dell’Ispra sul tema, in Italia gli eventi sismici potenzialmente indotti dall’attività umana sono pochi – e solo una parte legata all’attività di estrazione di idrocarburi (quadro riassuntivo a pagina 9 del documento) – e generalmente sono di magnitudo più bassa di quelli naturali. L’unico per il quale è stata ipotizzata una correlazione con le attività di estrazione, correlazione tuttavia smentita dall’Ingv, è il caso del terremoto del 14 dicembre 2014 in Val d’Agri, Basilicata. In tal caso più che all’attività di estrazione la sismicità indotta sembra essere stata collegata ad attività di re-immissione dell’acqua estratta dal giacimento.
10. Il caso dell’ex ministra Guidi è collegato al referendum?
Pochi giorni fa, Federica GuidiMinistra dello sviluppo economico, si è dimessa in seguito alla pubblicazione di una serie di intercettazioni telefoniche in cui rassicurava il suo compagno Gianluca Gemelli in merito all’inserimento di un emendamento nella Legge di stabilitàche ne avrebbe favorito gli interessi imprenditoriali. In particolare, tale emendamento semplifica di molto la costruzione di tutte le opere connesse alle attività estrattive di gas petrolio, dichiarandole “strategiche per l’interesse nazionale”, e dà al governo la possibilità di esprimere l’ultima parola su tali opere, eventualmente anche contro il parere di regioni e comuni. In particolare, il tema centrale delle intercettazioni era il sito di Tempa Rossa, un giacimento petrolifero della Basilicata, sulla terraferma. La questione, anche se non direttamente, è comunque collegata al referendum: il quesito del 17 aprile, infatti, è l’unico superstite di una lista che, inizialmente, comprendeva in totale sei domande. Cinque di esse, dopo essere state presentate e accolte dalla Cassazione, sono decadute perché il governo è intervenuto sui temi referendari apportando delle modifiche alla Legge di stabilità (tra cui l’emendamento oggetto delle intercettazioni di Federica Guidi) alla fine del 2015. Il quarto quesito, per l’appunto, riguardava l’articolo 57 del Decreto legge 5/2012, che contiene la “Disposizione per le infrastrutture energetiche strategiche, la metanizzazione del mezzogiorno e in tema di bunkeraggio”. Ma il governo ha giocato d’anticipo e il quesito referendario è stato poi bocciato a gennaio.